Paesaggio agrario

Già alla fine del ‘600 nel Ravennate il paesaggio agrario è caratterizzato per quasi il 50% dal sistema di coltivazione della vite, che viene fatta crescere appoggiandola a sostegni vivi (olmo, pioppo, acero), associata nello stesso campo alle colture dei cereali. I campi hanno forme rettangolari allungate, sono delimitati da fossi o scoline e percorsi da filari di alberi che sostengono le viti: doppi a cavaliere dei fossi o semplici lungo l’asse. L’unità di produzione è il podere, di dimensioni variabili e dotato di una casa colonica per la famiglia contadina che risiede e lavora nel podere.

Nell’archivio della canonica di S. Maria in Porto è conservato un fascicolo in cui sono raccolte le mappe del sec. XVII delle possessioni che l’abbazia aveva a Porto Fuori, in prossimità della chiesa e del monastero. Il fascicolo si compone di 20 fogli sciolti e non numerati: in uno di essi è disegnata la pianta della chiesa e del monastero di Porto Fuori. Non vi sono indicazioni né di date né del perito che ha disegnato le mappe.

Raffigurano le unità poderali e costituiscono le tessere di un mosaico che permette lo studio di una micro area agraria: si configurano come uno spaccato di fotografia storica del paesaggio agrario. Il colore consente una definizione visiva particolarmente efficace delle singole possessioni, delineandone i diversi caratteri naturali e stimolando la percezione del paesaggio agrario: il verde per i prati, gli orti e le alberature, il giallo per le strade e le carraie, il turchino per i fossi , i canali, i fiumi. I vari poderi sono raffigurati nelle varie pezze di terra. C’è l’area con la casa, il pozzo, il forno, la capanna, il cortile, l’orto; poi sono disegnati i campi in forma allungata, delimitati dai fossi. Non è riportata la denominazione della coltivazione delle pezze di terra, ma il disegno e i colori suggeriscono se si tratta di “arativo, arativo arborato, o arativo arborato vitato”.

Il nome di ogni possessione è racchiuso in un riquadro con una cornice, che riporta anche il numero delle tornature, ed il nome del lavoratore che al momento risiede nel podere e al quale è legato da un contratto di mezzadria. Viene indicata la scala di raffronto in pertiche di Ravenna, che però non è uniforme: varia da 14 a 25. Il vettore di orientamento è uniforme: in esso si riscontrano le iniziali dei nomi dei venti: T(ramontana), O(stro), P(onente), L(evante). Le estensioni delle possessioni variano e sono misurate in tornature ravennati, pari a 3.417,66 mq.

I contratti agrari

Per giungere ad una piena economia poderale nelle zone di proprietà dell’Abbazia, nelle quali esistevano ancora grandi aree boschive, i portuensi si impegnarono, fra Quattrocento e Cinquecento, in importanti investimenti fondiari destinati all’appoderamento con impianto di viti, sistemazioni di siepi e recinzioni, e costruzione di case e stalle. L’affitto dei terreni nel Seicento era un’attività remunerativa, anche a causa della elevata domanda di terra da coltivare. In aggiunta alla rendita fondiaria i proprietari godevano del reddito dell’allevamento dato in soccida.

Da un antico documento dei portuensi possiamo trarre molte informazioni sulla gestione della tenuta e sul rapporto fra proprietari e conduttori. L’Istrumento dell’affitto dei beni della tenuta di Raffanara e Madrara del 1659 stabiliva le condizioni con le quali Orlando Malagola e i suoi due figli avrebbero gestito la tenuta per i nove anni successivi.

Casanti e lavoratori

I lavoratori e i casanti erano le figure che nella tenuta si occupavano della coltivazione delle terre. I loro contratti riprendevano clausole già stabilizzate da diversi secoli; gli aspetti principali riguardavano le modalità della prestazione lavorativa, l’intensiva coltivazione del podere e i suoi miglioramenti qualitativi, la ripartizione dei prodotti e l’obbligo delle regalie e delle prestazioni gratuite d’opera. Un minuzioso calendario dei lavori agricoli cadenzava la vita, per altro molto dura, di questi nuclei familiari. La scarsa produttività della terra e quindi del loro lavoro portava spesso a forti indebitamenti, con conseguente regressione nella scala sociale, o alla necessità di arrotondare le magre entrate lavorando anche come prestatori di opere sotto lo stesso padrone.

Nei poderi che venivano dati direttamente ai lavoratori e ai casanti, l’Abbazia pretendeva una serie di obblighi e vincoli, e tratteneva la metà delle entrate. Si possono notare contestualmente delle differenze riguardanti i lavori da svolgere, le loro modalità, la quantità delle regalie e il canone d’affitto.

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