« tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su ‘l lito di Chiassi,
quand’Ëolo scilocco fuor discioglie »
(Purg., XXVIII )
Nella Commedia, opera dove abbondano le tracce geografiche e toponomastiche, è possibile trovare alcuni riferimenti precisi alla città di Ravenna, come ad esempio la perifrasi di Francesca in Inferno V, «Siede la terra dove nata fui; su la marina dove ’l Po discende», calco fedele di un celebre passo della cronaca del Tolosano: sedet civitas […] in litore mari Adriaticis sita, quam prae ceteros amnes Heridani fluenta nobilitant.
Frammento di pergamena tardo Trecentesco contenente i versi Inf. V, 100-102
Il frammento presenta la lezione mondo in luogo di modo: una lezione deteriore, oggi non più accettata, che conobbe però una grande diffusione. L’origine del documento non è nota, attualmente è conservato tra le pergamene della Sezione di Archivio di Stato di Faenza
Altri due luoghi, situati nel forese, sono invece menzionati direttamente nel viaggio di Dante: si tratta della pineta di Classe e della chiesa di Santa Maria in Porto. Entrambi erano molto cari al poeta, che li visitò più volte: circostanza supportata sia dalle precise descrizioni della pineta, sia dalla recente identificazione di Pier Damiani con il Pietro Peccatore del verso dantesco «In quel loco fu’ io Pietro Damiano, / e Pietro Peccator fu’ ne la casa / di Nostra Donna in sul lito adriano» (Par. XXI), spia questa del fatto che il poeta conosceva bene una tradizione locale appresa probabilmente in loco. Interessante notare come questo verso del Paradiso sia in seguito stato utilizzato dalle amministrazioni pubbliche nel nominare la località di Lido Adriano, sorta sul litorale ravennate negli anni Sessanta del Novecento.
L’unico segno tangibile della presenza di Dante a Ravenna – essendo ignoto il luogo esatto in cui si trovava la sua abitazione – è rappresentato dalla sua tomba. Secondo progetti della signoria polentana si sarebbe dovuto costruire un sepolcro monumentale a ridosso della basilica di San Francesco, ma il proposito fu abbandonato e per diversi secoli le spoglie mortali del poeta riposarono all’interno di un’arca marmorea posta sotto il portico che correva tra la basilica e l’attigua cappella di Braccioforte.
Il luogo rimase inalterato fino al 1483, quando Bernardo Bembo, pretore della Repubblica di Venezia, ordinò il rifacimento del sacello dantesco e commissionò l’opera allo scultore Pietro Lombardi, che scolpì il bassorilievo ancora oggi visibile.
Nel corso del Cinquecento il sito fu lasciato in un relativo stato di abbandono e fu soltanto nel Seicento che si avviarono alcuni interventi di monumentalizzazione della zona dantesca, compreso l’abbattimento a fine secolo di alcune case allo scopo di aprire la piazza, non senza aspri conflitti di giurisdizione tra le autorità civili e quelle ecclesiastiche.
La lite per il mausoleo di Dante
Il volume 1835 raccoglie la documentazione relativa alla lite con i Priori della Congregazione dell’ospedale di Santa Maria delle Croci per la pertinenza del cimitero retrostante; tra la documentazione rilegata nel volume sono presenti due piante acquerellate che mostrano la conformazione delle strutture, tra cui il mausoleo di Dante. Questa tipologia di documenti è un tipico esempio della documentazione giudiziaria di “antico regime”: la raccolta in un volume rilegato dell’intera produzione degli atti utilizzati per dimostrare i propri diritti relativa a una “lite”, come venivano chiamate le cause civili
Corporazioni religiose soppresse, Confraternita dei frati minori conventuali di San Francesco, vol. 1835