Fu a partire dai primi anni dell’Ottocento che Dante assunse un ruolo centrale nel processo di costruzione dell’identità nazionale e la sua figura si elevò a quella di padre nobile della nazione. Una vasta schiera di intellettuali romantici e risorgimentali riscoprì e valorizzò l’opera dantesca, che incontrò poi una vera e propria consacrazione nelle pagine della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis.
In mancanza infatti di un momento di vera coesione politica, la storia della lingua e della letteratura italiana fu studiata come l’elemento fondativo dell’identità italiana e Dante venne considerato il profeta che aveva preconizzato l’unità d’Italia.
Per queste ragioni, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento lo studio della Commedia divenne un caposaldo imprescindibile nei programmi scolastici, ma fu durante il Fascismo che si registrò un uso massiccio della figura del poeta: dai discorsi di Mussolini e dei gerarchi fino a quelli dei direttori didattici e degli intellettuali organici al regime, non si perdeva occasione per identificare Dante come padre spirituale della patria.

L’appropriazione tentata dal regime fascista passò anche per la monumentalizzazione di luoghi fortemente simbolici: a Roma si pensò di costruire un imponente complesso, mai realizzato, il Danteum, mentre a Ravenna nel 1936 venne inaugurata l’area ancora oggi nota come “Zona dantesca”. Su questa inaugurazione potete visitare la nostra mostra virtuale “La ‘Zona del silenzio’, l’ultimo luogo di Dante”.

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