Era in que’ tempi signore di Ravenna, famosa e antica città di Romagna, uno nobile cavaliere, il cui nome era Guido Novel da Polenta; il quale, ne’ liberali studii ammaestrato, sommamente i valorosi uomini onorava, e massimamente quegli che per iscienza gli altri avanzavano. 

In un passaggio molto noto del TrattatelloGiovanni Boccaccio, descrivendo la corte di Guido Novello, offre il ritratto di una Ravenna che, tra il XIII e il XIV secolo, pur avendo perso il ruolo di centralità delle epoche precedenti, è ancora culturalmente vivace.

Le fonti archivistiche ci offrono alcuni esempi di testi in volgare, come il componimento “Quando eu stava in le tu’ cathene”, ritrovato fra i documenti dell’Archivio Storico Diocesano di Ravenna e considerato come una delle più antiche poesia in lingua del sì.

Altra testimonianza rilevante è rappresentata dal Serventese romagnolo, trascritto in un codice membranaceo appartenente al fondo dell’abbazia di Classe dell’Archivio di Stato e risalente agli anni Settanta del Duecento.

Sappiamo anche che sullo scorcio del Duecento la città ospita l’esule Riccobaldo Ferrarese, autore di opere storiche fra cui il Pomerius Ravennatis, composto durante il soggiorno in città, notevole in quanto testimonianza della ricchezza degli archivi e delle biblioteche di Ravenna. La parentesi di Riccobaldo e l’esistenza di un cenacolo dantesco in cui, dando credito a Boccaccio, l’Alighieri «con le sue dimostrazioni fece più scolari in poesia e massimamente in volgare», non oscurano il fatto che a Ravenna sono documentati diversi letterati – per lo più forestieri – che si dedicano all’insegnamento: tra il XIII e il XIV secolo sono attestati i giuristi Pasio della Noce (1268) e Ugo di Riccio (1298), il lettore di grammatica e logica Leone da Verona (1304), il medico, maestro di logica, filosofia e astrologia Giovanni di Giacomo del Bando (1333) e i maestri di grammatica Uguccione da Camerino (1359-1365) e Filippo Ricciardini da Forlì.

Personaggi, quelli appena citati, tutti di una certa rilevanza, adombrati dall’aretino Donato Albanzani, amico e corrispondente di Petrarca e Boccaccio nonché maestro delle due figure più influenti dell’umanesimo ravennate: Giovanni Conversini e Giovanni Malpaghini.

Più difficile è invece tracciare l’utilizzo del volgare al di fuori della cultura letteraria: a differenza di altri centri, come ad esempio Bologna, sembra che a Ravenna soltanto a partire dalla metà del Trecento siano comparsi i primi documenti vergati in antico italiano.

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