COSTRUIRE UNA CITTÀ

I mulini e il macello

I mulini

Anche Ravenna ebbe i suoi mulini idraulici. Il più antico, il cosiddetto “mulino vecchio”, poi conosciuto come Mulino Lovatelli o “molinaccio”, era già presente nel XIII secolo. La presenza dei mulini viene ricordata oggi dalla toponomastica con la circonvallazione al Molino e via Molino, e ha dato anche il nome al circolo “I Mulner”. I mulini sono stati a lungo uno dei cardini dell’economia cittadina, al centro di lotte e contese: chi aveva il controllo sulla produzione della farine aveva un grande potere.

Nella parte inferiore di una delle carte più antiche della città conservate dall’Archivio di Stato di Ravenna si possono individuare due mulini, nell’attuale zona di borgo San Rocco. La pianta non è datata, ma è comunque collocabile, a parere degli studiosi, nel XVII secolo. Vi si riconoscono le mura, la Rocca, le vie di ingresso e i fiumi Ronco e Montone, che hanno abbracciato la città dall’epoca comunale fino al XVIII secolo.

Il “mulino vecchio” si trovava fuori porta San Mama, alimentato da un canale che prendeva le sue acque dal fiume Montone. Successivamente entrò in funzione nel borgo fuori Porta Sisi  il “Mulino nuovo”, alimentato dal fiume Ronco, chiamato anche “mulino del macello”, perché ebbe anche la funzione di mattatoio verso la metà del 1500.

Agli inizi del cinquecento emergono i primi contrasti tra la mensa arcivescovile, che era proprietaria dei mulini per antico diritto, e la Comunità che li aveva in enfiteusi. Le chiuse necessarie al loro funzionamento contribuivano inoltre a complicare il già travagliato rapporto fra Ravenna e le acque. Mentre la Santa Sede nega la legittimità dei diritti della Comunità sull’utilizzo degli impianti e conferma la piena proprietà e potestà all’arcivescovo, cresce il malcontento popolare, alimentato  dai continui allagamenti causati dalla rete idraulica necessaria al funzionamento delle macine, e dalla volontà di rompere il monopolio ecclesiastico sui mulini.

Abbiamo notizia di violente rivolte popolari nel corso del XVI secolo, come il cosiddetto “fatto dei mulini”: 1563 la Comunità distrusse le famigerate chiuse necessarie al loro funzionamento. Raggiunto comunque il controllo degli impianti, la Comunità li seppe sfruttare con alterne fortune. Nella storia dei mulini cittadini entrano allora gli imprenditori privati, come Guido Carlo Rasponi, e la loro complicata vicenda, carica di tensioni sociali e politiche motivate dalla centralità di questi impianti per l’economia e la sussistenza della popolazione ravennate, si intreccerà sempre più con l’incessante questione della sistemazione idrica della città.

Il nuovo macello

Il nuovo Macello comunale fu costruito tra il 1897 e il 1900, su progetto di Costantino Pirotti. L’edificio era formato da sette fabbricati in mattone scoperto, l’ingresso è racchiuso fra due ali simmetriche, e presenta un cancello in ferro della Savini, Babini e Sangiorgi. Nei bassorilievi rotondi, opera dello scultore Attilio Maltoni, sono rappresentati la testa di un bovino, di un suino, di un ovino e di un gallo. Sorgeva in prossimità di uno dei mulini di Ravenna, detto “del macello”, ed entrambi utilizzavano il medesimo canale.

A poca distanza dal nuovo macello si trovava il fabbricato che era servito da macello fino ad allora ed era poi diventato stazione di monta dei cavalli del Governo; era un ambiente unico posto a cavallo del canale del molino.

L’ala destra del nuovo Macello è andata distrutta in seguito ai bombardamenti del 1944. Nonostante la stesura del progetto di ricostruzione dell’Ufficio tecnico datato 13 luglio 1946, il macello non è più stato restaurato.

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