COSTRUIRE UNA CITTÀ

L’acquedotto

L’acqua potabile

“L’acqua potabile è mediocre o cattiva. Non è tanto limpida o trasparente, e non reca al palato quella speciale sensazione che ne indicala purezza. Nell’ebollizione lascia non lieve deposito. Le acque potabili di Ravenna contengono le sostanze seguenti: cloruro di calcio, di magnesio, di iodio, carbonato di calce, solfato di magnesia, di soda, di calce, silice, carbonato di ferro, materie organiche. Sarebbe necessario di conoscere la quantità di tali sostanze. Fra i sali ricordati,  il solfato di calce è assai nocevole. Fra i cloruri, è pure nocevole quello di calce. Anche la silice è dannosa. Alcuno crede che non contengano che tracce di materia organica, altri pensa che tale materia sia in quantità rimarchevole. E’ un fatto che alcune acque tramandano quell’odore speciale, che è proprio dei tessuti organici che si decompongono. Credo che tali acque concorrano a generare gli infarcimenti epatici e splenici, le diaree, e altre malattie, che dominano la città.”
Rapporti sull’acqua potabile di Ravenna e dei suoi sobborghi (Prefettura di Ravenna, Archivio generale, b. 62, anno 1865).

Fino al ventesimo secolo Ravenna resterà sprovvista di acque fresche, le sole fonti di approvvigionamento di acqua erano i pozzi di superficie, le acque dei fiumi, le cisterne sotterranee, e i pozzi artesiani. Questi ultimi prendono il nome dal territorio dell’Artois in Francia da dove questa tecnica si diffuse. Si tratta di pozzi che pescano in falde acquifere molto in profondità, dai cento ai quattrocento metri nel nostro territorio, che arrivano incontaminate dai bacini montani, e che, naturalmente, hanno un pressione sufficiente per sgorgare dal terreno; in questo modo non occorre installare un meccanismo di pompaggio.

I progetti per l’acquedotto della città

All’inizio del novecento l’acqua potabile veniva trasportata con delle cisterne in treno da Faenza e via tramvai da Forlì, e quindi venduta al dettaglio come si vede dal manifesto qui riprodotto del 1915.

Nei primi decenni del novecento il comune di Ravenna si unisce in consorzio alla città di Cesena, che soffre della medesima mancanza di acqua, per la costruzione di un acquedotto che prelevi acqua dal monte Fumaiolo, ad uso delle due città e di tutte le loro campagne.

Il progetto viene abbandonato nel 1922 a causa delle vicende politiche. La nuova amministrazione podestarile si impegna in nuovo progetto che prevede la costruzione di un acquedotto alimentato dalle acque del Marecchia nei pressi di Torre Pedrera, con due vasche di accumulo e due torri piezometriche per alimentare la città, i sobborghi e le località turistiche di Porto Corsini e Marina di Ravenna, tralasciando le campagne.

I lavori terminarono nel 1931, e per l’occasione fu costruita una fontana in gesso in Piazza Vittorio Emanuele (ora Piazza del Popolo). Il primo agosto dello stesso anno Benito Mussolini visitò Ravenna per inaugurare il nuovo impianto.

La torre piezometrica costruita in città in via Fusconi, di cui si può vedere qui il progetto, venne fatta brillare dai tedeschi in ritirata e venne ricostruita negli anni 50.

Nonostante l’inaugurazione in pompa magna, i ravennati non usufruirono di acque potabili nelle case ancora per molti anni. Per sopperire a queste difficoltà vennero costruite numerose fontanelle pubbliche, alle quali la popolazione accorreva, ovviamente, numerosissima. Le località non raggiunte in nessun modo dalla rete idrica continuarono ad utilizzare i pozzi artesiani, le acque dei fiumi, le cisterne per l’accumulo delle acque piovane.

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