COSTRUIRE UNA CITTÀ

L’Ospedale Santa Maria delle Croci

Il vecchio Ospedale

Nei primi anni del Cinquecento a Ravenna c’erano ancora 6 ospedali, fra cui Santa Maria delle Croci, che si occupavano dei malati, dei fanciulli esposti, dei bisognosi e dei pellegrini. Il processo di concentrazione ospedaliera avvenne nel 1636 quando l’Ospedale Santa Maria delle Croci raccolse tutti gli istituti di carità di Ravenna.
L’ospedale si era sviluppato attorno alla vecchia chiesa di Santa Maria delle Croci, di fronte al convento dei francescani, in via Girotto Guaccimanni.
Nel 1823 l’Arcivescovo Antonio Codronchi, acquistati i terreni e i fabbricati della soppressa abbazia di San Giovanni Evangelista, li dotò degli strumenti più adatti per una moderna attività ospedaliera poi chiese al Papa Pio VII l’autorizzazione a trasferirvi l’Ospedale, proponendo di affidarne la gestione alla Congregazione di Carità (Lettera della Congregazione di Carità al Papa Pio VII. Ospedale Santa Maria delle Croci, b. 97). Il consenso venne dato ma il trasloco fu fatto solo nel 1827, in via Guaccimanni rimasero altri istituti assistenziali, tra i quali l’Orfanotrofio maschile e l’Orfanotrofio femminile.

L’ampliamento e i nuovi padiglioni

L’ampliamento venne deliberato dalla Congregazione di Carità nel 1867 “a sollievo delle povere inferme in questo Spedale dai professori Sancasciani e Puglioli”. I lavori furono “riconosciuti molto vantaggiosi per l’acquisto di aria e luce anche a chiunque entri in detta sala oggi cupa, soffocata e malsana” (Ospedale Santa Maria delle Croci, b. 150).

La struttura originaria divenne col tempo insufficiente e inadeguata, le varie sale non erano dislocate razionalmente, non c’era una separazione a seconda delle diverse malattie e la camera operatoria era vicina ai letti dei malati. Un’unica tinozza veniva utilizzata per lavare tutti i degenti. Occorreva riorganizzare i locali dell’Ospedale e costruirne di nuovi con i criteri della moderna igiene. L’architetto Giovanni Tempioni costruì, con la sua impresa, i nuovi padiglioni.
Per il nuovo padiglione furono progettati e realizzati impianti elettrici, con campanelli e telefono; e a gas, e acquistate nuove forniture di letti, sedie, comodini e mobilio in ferro, oltre a nuova biancheria e altri suppellettili.

I nuovi padiglioni, che venivano inaugurati il 7 novembre 1900 vennero intitolati a Umberto I, assassinato il 29 luglio dello stesso anno. Il Ravennate Corriere di Romagna del 9 ottobre riporta la cronaca dei festeggiamenti: “Una gran folla di tutte le classi – artisti, professionisti, artigiani, nobili, possidenti, facoltosi, operai – formicolava nei nuovi ambienti prima dell’inaugurazione. Alle 10 la vasta sala chirurgica per uomini destinata alla semplice ma affettuosa cerimonia è quasi in un attimo riempita dal gentil sesso. Appartengono quasi tutti alle famiglie degli oblatori. Notiamo in prima fila donna Maria Rava che non manca mai dove un’opera benefica si compie o si inaugura. Quella sala par subito trasformata in un giardino pensile mosso da uno zeffiro autunnale in una geniale varietà di fiori e di colori che spiccano dai cappellini delle signore”.

L’Ospedale sfollato

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, l’ospedale civile venne trasferito nei locali di quello militare, in via Nino Bixio, dove rimase fino al 1959. Infatti, nel corso del conflitto l’ospedale e la chiesa di San Giovanni Evangelista subirono notevolissimi danni. L’ospedale venne abbattuto e venne progettata una nuova sede in una zona periferica, l’attuale Viale Randi, che venne inaugurata nel 1959.

I danni di guerra

Tra l’aprile e il novembre del 1944 Ravenna subì numerosi bombardamenti che resero inutilizzabili la stazione ferroviaria e il porto. I danni maggiori riguardarono la zona fra la stazione, la tomba di Teodorico e Santa Maria in Porto; il Corso e San Vitale; e il Borgo san Biagio. Per preservare i monumenti furono messi in atto alcuni sistemi di protezione già utilizzati nel corso della Grande Guerra: sostegni in legno, sacchi di sabbia per nicchie e archi, e perfino strati di alghe marine per evitare gli incendi.

Ciononostante la chiesa di Santa Maria in Porto fuori fu completamente distrutta, così come la chiesa di San Vittore; i loro danni furono considerati talmente gravi da escludere un intervento di ricostruzione. San Giovanni Evangelista fu devastata nell’abside e nella parte anteriore, San Francesco fu lesionata nella navata sinistra e nella cappella polentana, Sant’Apollinare danneggiata nella copertura e nell’abside. Anche altre chiese subirono alcuni danni a seguito degli eventi bellici. I chiostri di San Vitale e di San Giovanni Evangelista furono in buona parte distrutti; fortunatamente i mosaici rimasero indenni.

I restauri monumentali furono lenti e faticosi, mentre si ridisegnò molto più rapidamente l’aspetto dell’abitato, forse grazie anche alla distruzione di quartieri che comunque sarebbero stati destinati ad una riqualificazione progettata con moderni criteri di ordinamento urbano.

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