Secondo la prostituta Bruna gli indagati “non parlavano d’altro che di furti”, come riportato in uno dei suoi numerosi interrogatori. Giovanni Diversi le aveva mostrato una pastiglia che a suo dire sarebbe servita per avvelenare un cane in vista di un furto. In effetti il custode del museo aveva un cane, che proprio in quei giorni sembrava soffrire di un misterioso malessere che lo avrebbe portato ad un passo dalla morte. Bari le avrebbe addirittura confessato subito di essere uno dei colpevoli, chiedendole di coprirla con un falso alibi, poiché egli si trovava in grande pericolo avendo lasciato un’impronta nel luogo del crimine.

Ma questo è solo l’inizio: nel corso delle indagini, durate almeno sette mesi, Bruna e gli imputati si accusano a vicenda di mentire, di aver progettato il furto, di aver organizzato la ricettazione dei reperti, di inventarsi improbabili relazioni intime per mettersi in salvo dalle accuse. Viene coinvolto anche il proprietario di un locale del malfamato quartiere Calcinelli, il cosiddetto Cantinone. È qui che sarebbe stata in un primo momento, sempre a detta di Bruna, depositata la refurtiva in attesa di un ricettatore. I preziosi, racchiusi in un involto, sarebbero stati in seguito sepolti sotto un’aiuola in piazza del Duomo sotto la statua della Madonna, e infine portati a Torino per essere venduti. A seguito di questa denuncia vengono indagati e carcerati il proprietario del Cantinone Emilio Longanesi e sua moglie Rosa, che saranno rilasciati solo a marzo del 1925.

Nel frattempo Bari sostiene di aver passato la notte del furto con Bruna, e anche di non aver “pagato la marchetta” in quanto sua amante. La sua versione sembrerebbe avvalorata da numerose lettere d’amore indirizzate a Bruna, e da un diarietto scritto a matita in cui annota i suoi struggimenti per la prostituta. Ma lei nega di esserne l’amante, di aver passato con lui la notte del furto, e continua ad accusarlo.

Bruna testimonia anche sulla presenza di Raffaele Crulli a Ravenna la sera del 19, testimonianza che porta ad una serie di indagini sui suoi movimenti da e per Città di Castello, e alla perquisizione della sua abitazione. In questa occasione vengono sequestrate le lettere d’amore di Crulli alla sua amante Luigia, nelle quali l’ex militare sembra fare riferimento ad un importante e lucroso affare, i cui proventi avrebbero permesso loro di iniziare una nuova vita a Bologna.

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