Le indagini non hanno sempre e solo seguito la pista “italiana”. L’ 11 settembre 1925 il Ministero dell’Interno chiede al Ministero della Pubblica Istruzione, allora responsabile per i musei e la cultura, di inviare a Monaco di Baviera un proprio funzionario tecnico, accompagnato da un funzionario di polizia. L’intento era quello di controllare i sospetti generati da una lettera ricevuta dal Direttore del Museo Nazionale da parte di una casa editrice tedesca, denominata Piper, che chiede notizie sull’ubicazione della Corazza e una foto della stessa per una propria pubblicazione. A parere degli inquirenti era molto sospetto che esperti di arte barbarica non conoscessero la collocazione dei reperti, che fossero stati trafugati — data l’eco internazionale del furto — e che non avessero già a disposizione una foto da precedenti pubblicazioni.

Per tale motivo il soprintendente all’Arte Medievale e Moderna per le  Provincie di Trento Verona e Mantova, Giuseppe Gerola, che era stato soprintendente a Ravenna dal 1909 al 1920, si recò a Monaco in compagnia del Commissario di Pubblica Sicurezza di Ravenna Addario, per un sopralluogo.

L’esito di questa missione non fu però fruttuosa: come verificò Gerola il libro in questione era un libro di poesie accompagnato da foto di reperti di arte barbarica, curato quindi da persone non esperte del campo, e che avevano mandato analoghe richieste a tutti i musei dai quali avevano tratto le immagini scelte.

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