I documenti ci mostrano una specifica attenzione, nel territorio ravennate, per i comportamenti e soprattuto l’abbigliamento dei frequentatori di località balneari. Le regole imposte, ai nostri occhi molto restrittive e sproporzionate, raggiungevano un livello di dettaglio davvero strabiliante, arrivando a specificare le misure minime, in centimetri, del costume da bagno. Siamo a cavallo fra gli anni 40 e 50, e non c’è da stupirsi di questa particolare acribia: una corretta prospettiva storica può rimettere al giusto posto quello che oggi può apparirci per lo meno bizzarro.

Non dobbiamo neppure pensare che tali restrizioni fossero interamente dettate dalla legge: l’offesa alla moralità pubblica è formulata, per lo meno nell’ordinamento italiano, in modo da adattarsi naturalmente al mutamento dei comportamenti: dicono i giuristi che si tratta di un criterio storico-statistico e non assoluto. Da un punto di vista giuridico il suo compito non è quello di imporre una certa moralità sessuale su tutta la popolazione, ma solo garantire la libertà di non essere esposti, contro la propria volontà, a qualsiasi comportamento che in quel preciso momento storico potrebbe essere offensivo.

Un elemento da tenere in considerazione, in questo caso come in altre materie di cui era responsabile la Questura, è che questo ufficio, oggi con compiti puramente amministrativo-organizzativi, era prima della riforma del 1981 alle dipendenze più o meno dirette del Prefetto della Provincia, non era quindi raro leggere anche un intento di indirizzo più ampiamente sociale e politico nei suoi procedimenti.

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